Cefalunews, 7 febbraio 2021
Novant’anni fa, nei giorni tra il 21 e il 25 febbraio, la
Sicilia fu sconvolta da una persistente area depressionaria che colpì
soprattutto la parte nord-occidentale dell’isola, provocando per le incessanti
piogge, ingenti danni a cose e persone. Si verificarono frane, esondazioni e
vittime. Da questo nubifragio di estrema violenza fu coinvolta anche la città
di Termini Imerese. In realtà, l’eccezionale evento meteorologico provocò gli
straripamenti dei fiumi: San Leonardo, Torto, Imera settentrionale e del
torrente Barratina.
La devastante
alluvione coinvolse in particolar modo il ponte ferroviario sito sul San
Leonardo che collegava e collega la tratta Palermo – Termini Imerese. Infatti,
la furia delle acque provocò l’erosione degli argini naturali e scalzò gradualmente
la fondazione di uno dei due piloni centrali che reggeva il ponte in ferro,
destabilizzandolo. Il cedimento del pilastro avvenne nella notte del 21
febbraio 1931, al transito del primo convoglio, nello specifico, un treno merci
proveniente da Palermo.
Per noi
termitani è molto nota la tavola illustrativa de “La Domenica del Corriere” –
Supplemento illustrato del Corriere della Sera – del 5 aprile 1931.
Infatti, nel numero precitato che ho avuto modo di
leggere, la didascalia a corredo del disegno recita:
“Le
erosioni e gli altri guasti prodotti dalla recente grande alluvione hanno fatto
cedere il ponte di san Leonardo, sulla linea Palermo-Termini, proprio mentre
passava un treno merci. Il Genio sta ora costruendo, a fianco del vecchio, un
nuovo ponte in ferro. E il servizio ferroviario continua col solo inconveniente
del trasbordo dei viaggiatori da una riva all’altra del corso d’acqua”.
Tuttavia, incontrandomi con uno di questi “ricercatori
di antichità”, mi sono imbattuto in una specifica cartolina – fotografica in
bianco e nero, viaggiata (datata 20 marzo 1931), che raffigura da un’altra
angolazione visiva, quel tragico episodio. Infatti, la foto ritrae:
- In primo piano, tre
militi della Milizia Ferroviaria (di cui non conosciamo i loro nomi), in
posa preordinata, verosimilmente componenti della squadra dei soccorsi;
- Sullo sfondo, il ponte
in ferro crollato, questi, realizzato a un solo piano, a parete singola, e
costruito da pannelli modulari di tre metri, chiodati fra di loro;
- A fianco del ponte
caduto, il nuovo in costruzione, nello specifico un Roth Wagner, molto più
resistente del precedente;
- Infine, la locomotiva
del gruppo 7401 precipitata sul greto del fiume.
La cartolina che immortala questa scena d’epoca, è
un’altra testimonianza tangibile che si aggiunge nel contesto storico-sociale
della città di Termini Imerese del secondo anteguerra. La foto, come dicevamo,
ha per soggetto principale oltre al ponte crollato e il nuovo in fase di
costruzione, anche la rappresentanza di una specialità della Milizia volontaria
per la sicurezza nazionale, ossia la Milizia Ferroviaria.
La Milizia Ferroviaria Nazionale, una specialità
della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), già dal maggio
del 1923 aveva sostituito i disciolti nuclei di Polizia Ferroviaria, nel
servizio di vigilanza nelle ferrovie del Regno d’Italia. La M.V.S.N. […] Faceva parte delle Forze Armate e dipendeva dal
Ministero delle Comunicazioni per il suo impiego, e dai Commissariati locali di
Pubblica Sicurezza per il mantenimento dell’ordine pubblico. I militi della
ferroviaria vestivano l’uniforme della MVSN con cappello alpino, e al posto
dello scudetto, sul braccio portavano un distintivo formato da una ruota di
treno in mezzo a due ali, il tutto ricamato in canottiglia oro su fondo cremisi […].
(Cfr. Felix Villa, Scudetti molto speciali, Uniformi e Armi n.89, Agosto 1998).
Riguardo all’uniforme indossata dai tre militi, la
tecnica costruttiva dei ponti sul San Leonardo e la locomotiva a vapore delle
Ferrovie dello Stato raffigurati in cartolina, saltano rapidamente all’occhio
“per gli addetti ai lavori”, quegli elementi pertinenti, circa la
documentazione storico-militare.
Infatti, abbiamo consultato due specialisti in
materia: Diego Bosi, studioso di uniformologia e il Gen. Mario Pietrangeli, già
comandante di unità militari ferroviarie, i quali entrambi ci hanno rilasciato
gentilmente le loro dettagliate descrizioni informative, senz’altro uniche e
preziose.
Diego Bosi
«La
fotografia mostra chiaramente tre militi: un caposquadra e due camicie nere
scelte della Milizia Ferroviaria con compiti specifici di vigilanza sul Demanio
ferroviario (creata il 30 ottobre 1924 dipendente dell’Ispettorato reparti
speciali, passata sotto il Comando Gruppo Legioni ferrovieri con sede a Roma),
con uniformi istituite da Regolamento del 3 luglio 1931.
Precisamente,
siamo di fronte a due graduati di truppa ed al centro un caposquadra. Essi,
vestono una giubba grigioverde abbottonata da tre bottoni con fiamme bordate di
cremisi e fascetto centrale e indossano pantaloni come da regolamento:
profilati ai bordi da un filetto di colore nero di 2 mm. Da notare che il
caposquadra porta alla tasca la catenella per il fischietto.
I militi,
inoltre, portano ai polsi i tipici alamari neri riservati alle Milizie Speciali
(su panno cremisi per la ferroviaria), essi indicano il ruolo di agenti di
polizia giudiziaria. Mentre sull’avambraccio spicca il fregio con ruota da
treno ed ali. Sulla spalla si osservano le controspalline bordate di cremisi
hanno addosso camicia, cravatta nera e pantaloni corti (si chiamavano così
quelli lunghi fino al polpaccio).
Indossano
il cappello all’alpina senza nappina e penna (riservate solo alle truppe da
montagna) con apposito fregio con fascio littorio ruota ferroviaria ed ala, e
calzano scarponcini e gambali a stecca neri. I militi hanno a tracolla la
bandoliera in cuoio marrone a due scomparti (tipico della milizia), per
le munizioni cal. 10,35 del revolver Bodeo mod. 1889.
La
bandoliera per pistola veniva portata su tutte le uniformi e cappotti ad
eccezione del cappotto di colore nero. Data la località, probabilmente appartenevano
alla 13^ Legione ferroviaria TRINACRIA».
«In merito
ai ponti raffigurati nella foto-cartolina, e in particolar modo quelli della
nota copertina della Domenica del Corriere, si comprende chiaramente quali sono
le loro tipologie costruttive.
Quello
crollato è un ponte ferroviario in ferro, formato da pannelli modulari di tre
metri chiodati fra loro (a quel tempo la saldatura ancora non era molto
utilizzata), il ponte è a un piano, inoltre il ponte ha una parete singola non
doppia, in quanto non ci sono affiancati altri pannelli che avrebbero potuto
aumentare la classe del ponte e di conseguenza non sarebbe crollato (tra l’alto
il ponte fu danneggiato nell’alluvione del 1931).
Quello in
costruzione (che sostituisce il primo) è un ponte scomponibile metallico
denominato Rotwagner (ponte di preda bellica austriaco in dotazione al genio
ferrovieri dal 1918) è a quattro piani con parete singola con contraventatura
superiore. Era montato solo dal genio ferrovieri. Da notare sulla sinistra la
gru superiore che permetteva di portare le parti da ponte montate a piè d’opera
nella parte superiore.
Per
quanto riguarda la locomotiva, essa apparteneva al gruppo 740.
Il
progetto del gruppo 740, sviluppato dalla Rete Adriatica qualche anno prima della
nazionalizzazione delle ferrovie del 1905, nacque allo scopo di migliorare il
servizio già buono che le locomotive del gruppo 730 svolgevano sulle linee
importanti, la Porrettana, la Firenze-Roma e in genere le linee del
centro-nord. Il progetto venne subito ripreso e portato avanti dalle
neo-costituite Ferrovie dello Stato. Vennero costruite in 470 esemplari tra il
1911 ed il 1923. Alcune furono impiegate, come le FS 735, nel traino di treni
armati della Regia Marina durante la seconda guerra mondiale.
I
risultati del progetto furono eccellenti e lo prova l’alto numero di esemplari
costruiti, la sua diffusione su tutto il territorio nazionale, il numero di
locomotive trasformate in 741 e 743, la ripresa del progetto per la
realizzazione di una versione locomotiva-tender reversibile (940) e la
sopravvivenza di alcuni esemplari fino al giorno d’oggi.
Per
ottenere il risultato prefissato, pur mantenendo l’architettura generale della
macchina e le sue caratteristiche generali, venne adottato il sistema di alimentazione
dei cilindri a vapore surriscaldato e a semplice espansione. Le modifiche fatte
al progetto permisero un aumento di potenza di 80 CV, e di forza di trazione,
alla velocità di 45 km/h, di quasi 500 kg in più. Il peso assiale venne
mantenuto entro le 14 t per asse, valore che ne permetteva l’impiego anche
sulle linee in condizioni di armamento non buone. Anche l’economia di esercizio
ottenuta ripagò in maniera consistente.
Le
locomotive nacquero dotate di freno automatico ad aria compressa Westinghouse e
presa di vapore per il riscaldamento delle vetture viaggiatori. Per quanto
riguarda il tender, venne adottato quello a tre assi per le prime unità fino
alla 740.294 e per 150 locomotive successive quello unificato a carrelli da 22
metri cubi».
Esattamente, l’autore delle rime era un poeta
girovago che abitava a Termini Imerese (PA) in via Pusateri, n. 4 (una traversa
della via Armando Diaz). Il Bertolini, originario di Grotte (AG), si era
trasferito nella cittadina imerese sin dal 1923 con tutta la sua famiglia.
Il prof. Luigi Ricotta, nella sua Tesi di Laurea
dal titolo: “Aspetti del Folklore di Termini Imerese”, discussa sotto la
sapiente guida del Relatore prof. Giuseppe Cocchiara (1904 – 1965), presso la
Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Palermo, nell’anno accademico
1956-1957, facendo riferimento al cantastorie grottese, così scrive:
[…] Le sue
storie sono tragiche vicende familiari, fughe di amanti, episodi di crudeltà e
di banditismo, episodi insomma che riempino la cronaca dei giornali e che
suscitano larga risonanza nell’animo del popolino […].
[…] La sua
poesia, rozza trasfigurazione artistica di una triste vicenda umana, dà voce al
senso di giustizia del popolo che per bocca di lui parla e si esprime […].
[…] Il
Bertolino non scrive quello che compone perché del tutto analfabeta. Ciò
nondimeno la sua memoria fa sì che o gli metta fuori 15 o 20 ottave per un solo
avvenimento e che poi le reciti con facilità come se la leggesse. Ciò che più
meraviglia è che egli ricorda a perfezione lunghissime storie da lui composte
30 o 40 anni fa. Delle molte che ha composte solo una trentina è riuscito a
fare stampare in foglietti per venderli ai suoi ascoltatori. La stampa di
questi foglietti costa troppo per un povero poeta girovago come lui. Pare che
con questa gente il destino sia sempre lo stesso: “Fuor che la cetra a loro/Non
diede altro tesoro” . E come
tutti i poeti girovaghi, il nostro Bertolino non ha mai avuto la bisaccia
troppo piena, ma la sua presenza è sempre stata bene accetta. Nelle piazze, nei
cortili, nelle taverne di vari paesi e città, nelle campagne assolate, tra i
mietitori, tra gli scaricatori di porto, questo “successore di vetusti rapsodi”
(1) trova gente disposta ad ascoltarle per rivivere con palpito e commozione le
vicende d’amore di due giovani infelici, il dolore di una madre che ha perduto
i suoi figli o la scena sanguinosa di un crudele omicidio […].
(Cfr. Luigi Ricotta – Aspetti del folklore di Termini Imerese, Università degli
Studi di Palermo, Facoltà di Lettere, Relatore prof. Giuseppe Cocchiara, A.A.
1956-57, Tesi di Laurea inedita, 268 p. Cap. IV – CANTI CANTASTORIE E SUONATORI
DI VIOLINO.)
(1) C. Cocchiara, L’anima del popolo italiano nei
suoi canti, cit. pag. 25.
Ricordiamo che il testo della poesia di Bertolino,
scritta in dialetto siciliano, fu pubblicato nel libro del Prof. Giuseppe
Navarra (1893-1991): “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000.
Riportiamo
pertanto, prima di concludere, le prime due strofe e la sesta della
sopraccennata poesia in vernacolo, o meglio una sorta di ottava siciliana;
inserendo proprio in quest’ultima metrica, qui per la prima volta, anche un
verso inedito, non presente nella pubblicazione postuma del Navarra. Il verso
mancante integra la strofa che in origine era composta appunto da otto versi,
ridandone così la precisa definizione di ottava rima.
Le strofe furono amorevolmente trascritte (in base
alle indicazioni del padre, Agostino), dalla compianta Antonina, (detta
Nellina) Capodici, e magistralmente tradotte oggi dal Prof. Fonso Genchi,
cultore della lingua siciliana, nonché Presidente dell’Accademia della Lingua
Siciliana.
“La caduta di lu ponti San Lunardu” o “L’alluvione” del 1931
Lu vintunu di lu misi di frivaru
‘na nuttata di ventu, acqua e scuru
ca li iardina mari addivintaru,
lu trenu cu lu ponti spunnò puru.
Na culonna spunnò tutta di paru
ca nun paria nè petra nè muru.
Trenu e pirsuni all’aria arristaru
ca iu stissu ca lu dicu m’apparu.
Furtuna ch’era un trenu materiali
e puru ca purtava poca genti
machinista e suddati tutti avali
e un caputrenu; chi forti spaventi!
scapparu comu aceddi di canali
pi li caselli furtunatamenti.
A la cunta ci mancava un capurali,
la vita cci la persi eternamenti.
“La caduta del ponte San Leonardo” o “L’alluvione” del 1931
Il ventuno del
mese di febbraio
una nottata di vento, pioggia e buio
da far diventare mare i terreni coltivati,
il treno affondò con tutto il ponte.
Prese in pieno una colonna
che non sembrava né pietra né muro.
Treno e persone rimasero in aria
che io stesso mentre lo dico provo paura.
Fortuna che era un treno merci
e pure che trasportava poche persone
macchinista e soldati tutti uguali
e un capotreno; che forti spaventi!
Sono scappati come uccelli dalle tegole
verso gli orti, fortunatamente!
Alla conta, mancava un caporale,
ci ha perso la vita per sempre.
Strofa sesta (in grassetto il verso inedito)
l’acqua du sciumi fici tantu dannu
a certi punti quattru metri funnu
li metri di larghizza nun si sannu
ca iu stissu ca lu dicu mi cunfunnu
semi e casi si iava tirannu
e li pianti li scippava tunnu
Pirsuni ca arristaru lagrimannu
pari c’avia vinutu ‘a fini [d]u munnu
Strofa sesta traduzione (in grassetto il verso inedito)
l’acqua del fiume fece tanto danno
in certi punti quattro metri profondo
i metri di larghezza non si sanno
che io stesso che lo dico mi confondo
semi e case si portava con sé
e le piante sradicava rotondamente
Persone che rimasero piangendo
sembrava fosse arrivata la fine del mondo
Nota
(1) Locomotive a vapore gruppo 740,
scheda a cura di Virginio
Trucco
Il progetto delle locomotive 740, fu iniziato dalle
ferrovie della Rete Adriatica, con lo scopo di creare una locomotiva migliore
della già buona 730. Alla nazionalizzazione della rete ferroviaria nazionale
nel 1905, le neonate FS non abbandonarono il progetto e la macchina entrò in
produzione nel 1911 e continuò fino al 1923, con una breve parentesi solo negli
anni della Grande Guerra, in quel periodo dato che l’industria nazionale era
alle prese con lo sforzo bellico, furono inviati i piani costruttivi negli
Stati Uniti, a cui erano state ordinate 100 locomotive, in tutto furono
prodotte 470 unità, dalle seguenti ditte; Breda, Ansaldo, Costruzioni
meccaniche di Saronno, Officine Meccaniche e Henschel & Sohn.
La macchina aveva le seguenti caratteristiche:
lunghezza: 18075mm con tender a tre assi; 19885mm
con tender a carelli
Massa in servizio: 66500 Kg
Massa aderente: 56000Kg
Diametro ruote motrici: 1370mm
Potenza: 980 CV (720KW)
Sforzo di trazione 14700 Kg
Velocità massima: 65 Km/h.
La macchina alimentata a carbone, ne aveva a
disposizione nel tender 6000Kg e la scorta d’acqua (a seconda del tender) era
di 12.000 o 22.000 litri. La pressione di funzionamento era di 12 atmosfere, la
macchina era dotata di condotta per il riscaldamento a vapore delle carrozze.
Per evitare l’eccessivo aumento di pressione, la locomotiva era dotata di una
valvola di sicurezza, sull’imperiale (tetto) della caldaia, era inoltre dotata
sul cielo del focolaio di tappi fonditori (tappi riempiti di piombo) che in
caso di scarso livello dell’acqua in caldaia fondevano riversando acqua sul
focolaio spegnendo il fuoco, in caso d’intervento dei tappi venivano presi
pesanti provvedimenti disciplinari nei confronti del macchinista e del suo
aiuto.
Per le sue ottime prestazioni e per il basso peso
assiale che gli permettevano di effettuare servizio anche sulle linee
secondarie, la loco 740 fu distribuita capillarmente a tutti i depositi
locomotive della rete, dove svolgeva servizi sia merci che passeggeri. La
740-115 attualmente esposta al museo ferroviario di Pietrarsa, fu una delle
macchine utilizzate per trasferimento della salma del Milite Ignoto verso
Roma. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, alcune locomotive
furono assegnate al traino dei treni armati della Regia Marina.
In merito alle foto dell’incidente di Termini Imerese,
purtroppo non si è potuto risalire al numero della locomotiva, non potendo così
ricostruirne la storia.
Si ringrazia per la gentile collaborazione: la Dott.ssa Claudia Raimondo (Direttrice della Biblioteca Comunale Liciniana di Termini Imerese), l’Ing. Michele Ciofalo, il Dott. Michele Ciofalo. Il Prof. Luigi Ricotta, il Dr. Agr. Gioacchino Capodici, e il Prof. Fonso Genchi (Presidente dell’Accademia della Lingua Siciliana).
Inoltre, i nostri ringraziamenti vanno anche a: Mario Pietrangeli, Generale di Brigata (Ris), Mario Piraino, Generale di Brigata (Ris), Diego Bosi (studioso di
uniformologia), Virginio
Trucco (storico navale), Eduardo
Giunta Fotografo (per le riproduzioni illustrative
inserite nel testo) e Girolamo
Mangiafridda (Collezionista).
Foto di copertina: Cartolina
viaggiata (datata 20 marzo 1931). Ponte ferroviario sul fiume San Leonardo. Per
gentile concessione di Girolamo Mangiafridda.
Foto 2: “Alluvione del 1931: crollo del ponte
ferroviario sul fiume San Leonardo”, per gentile concessione di Francesco e
Michele Ciofalo.
Foto 3: La Domenica del Corriere – Supplemento illustrato del Corriere della Sera – Anno XXXIII – n.14 del 5 aprile 1931- Anno IX.
Foto 4: Cartolina, Serie “La Milizia Volontaria per la Sic. Naz.” Edizione d’Arte Fauno. Collezione privata.
Foto 5: Cartolina Milizia Ferroviaria, Edizioni V. E. Boeri, Collezione privata.
Foto 6: Termini Imerese (PA), il ponte ferroviario sul fiume San Leonardo prima del crollo. Per gentile concessione di Girolamo Mangiafridda.
Foto 7: Giuseppe Navarra “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000.
Foto 8: Locomotiva del gruppo 740 – Pescara estate 2006 da Wikipedia.
Giuseppe Cocchiara, “L’anima del
popolo italiano nei suoi canti” Hoepli Editore, 378 pp. 1929.
La Domenica del Corriere –
Supplemento illustrato del Corriere della Sera – Anno XXXIII – n.14 del 5
aprile 1931- Anno IX.
Stefano Frascolla, Giuseppe Panico – Treni armati, Manuale di Polizia
Ferroviaria, Arti Grafiche Renna Palermo, 10 agosto 1951.
Luigi Ricotta – Aspetti del folklore
di Termini Imerese, Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Lettere,
Relatore prof. Giuseppe Cocchiara, A.A. 1956-57, Tesi di Laurea inedita, 268 p.
Felix Villa, Scudetti molto speciali,
Uniformi e Armi n.89, Agosto 1998.
Giuseppe Longo 2013 “Il Treno Armato
di Termini Imerese nel contesto della difesa costiera siciliana”, Giornale del
Mediterraneo, 8 marzo.
Giuseppe Navarra “Termini
com’era” GASM, 352 pp. 2000.
Giovanni Cornolò, “Locomotive a
vapore”, Tutto Treno, secondo fascicolo 2014, Ermanno Albertelli Editore, Duegi
Editrice.
Giovanni Cornolò, “Locomotive a
vapore”, Tutto Treno, terzo fascicolo 2014, Ermanno Albertelli Editore, Duegi
Editrice.
Giovanni Cornolò, “Locomotive a
vapore”, Tutto Treno, quarto fascicolo 2014, Ermanno Albertelli Editore, Duegi
Editrice.
Antonio Contino “Aqua Himerae
idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini
Imerese (Sicilia centro-settentrionale)” Giambra Editori, 300 pp. 2019.
Giuseppe Longo 2020 La storia dei
treni armati della Regia Marina cefalunews.org. 28 luglio.
Michele Antonilli, Mario Pietrangeli, “Il fischio del vapore e gli echi delle battaglie. Strade ferrate e Risorgimento lungo la valle del Tevere”, Armaganta editore, 122 pp. 2020.
Giuseppe Longo
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