Cefalunews, 27 novembre 2021
I treni armati della Regia Marina furono istituiti nel 1915
allo scopo di contrapporre la loro azione a quella del naviglio
austro-ungarico, resosi minaccioso lungo il litorale italiano dell’Adriatico.
Tali fortezze mobili, allestiti dalla Direzione di Artiglieria ed Armamenti nel
Regio Arsenale Marittimo di La Spezia, si componevano di due convogli: uno per
il combattimento e l’altro per la logistica. Ciascun Treno Armato, numerato
dall’uno al dodici, aveva una locomotiva in testa e una in coda, ed era pronto
sul proprio binario di ricovero per accorrere a ogni improvvisa chiamata. I
carri pianale (tipo Poz), opportunamente modificati secondo la destinazione
d’uso, furono delle vere e proprie batterie mobili con pezzi di piccolo e medio
calibro, sia antiaereo che antinave. In realtà le armi da fuoco si
differenziarono nettamente in tre tipologie:
(A) Cannoni
da 152 mm e 2 antiaerei-antinave da 76 mm;
(B) Cannoni
da 120 mm e 2 antiaerei-antinave da 76 mm;
(C) 8 Cannoni
antiaerei-antinave da 76 mm.
Il battesimo del
fuoco avvenne l’anno successivo, l’11 gennaio, quando il TA1 operante nella
linea ferroviaria Cervia-Pesaro, aprì il fuoco durante un’incursione di una
squadriglia d’idrovolanti sul cielo di Rimini.
Il Treno Armato
era provvisto oltre di un telegrafo da campo anche di un apparecchio
telefonoporico […] col quale allacciarsi alla propria sede e
mantenersi in comunicazione coi treni contigui durante l’azione, inserendolo
sui vari circuiti telegrafici, militari o ferroviari, della linea secondo la
necessità di corrispondenza […].
Queste “navi da
guerra su rotaia”, operarono tra lo Stretto di Otranto e Ravenna, e si
dimostrarono una valida difesa mobile, in appoggio alla scarsissima difesa
fissa costiera.
Nell’interessante
articolo di Paolo Giordani, apparso nel periodico illustrato “La Lettura” del
Corriere della Sera (1° agosto 1917), vi è un compendio di quello che fu il
Treno Armato nel primo conflitto mondiale. Lo offriamo ai lettori per un primo
approccio sull’argomento.
«Allorchè, per
la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, quattrocento miglia di
litorale nostro, solcato da una delle più importanti arterie ferroviarie e
sprovvisto di porti fortificati come di qualsiasi appoggio costiero, si
aprirono d’un tratto alle offese del nemico, la guerra navale in Adriatico ebbe
un periodo di campagna piuttosto manovrata in cui si rinnovarono con una certa
frequenza gli attacchi della flotta austriaca contro le città e le borgate
assolutamente indifese della costa italiana e la nostra flotta fu costretta a
una duplice attività: di crociera, per impedire le azioni corsare del nemico, e
d’incursione e d’esplorazione verso i punti d’appoggio dell’altra sponda.
Fu quello il
periodo di più grave crisi della nostra azione marittima e il problema della
difesa delle nostre coste adriatiche s’impose allora al Comando dell’Armata per
la sua soluzione immediata, mentre la nuova unità tattica della guerra navale
moderna, che s’era sostituita alla classica divisione delle grandi navi e che
può dirsi costituita dal trinomio silurante-sommergibile-velivolo, trovava da
parte del nemico il suo impiego migliore in un mare come l’Adriatico,
caratterizzato dalle brevi distanze fra una sponda indifesa e indifendibile e
un’altra sponda munita d’ogni più formidabile protezione dalla natura, avendo
tutto il litorale austriaco da Pola a Cattaro come base navale e per obiettivo
un punto qualunque da scegliere su seicento chilometri di una spiaggia che, da
Venezia a Ravenna, s’apre col delta delle foci del Po, come un polmone perennemente
scoperto, e da Ravenna a Brindisi si allunga nuda, bassa, aperta, popolatissima
di città e di villaggi.
La situazione,
simile a quella delle coste orientali dell’Inghilterra, è per noi infinitamente
più svantaggiosa: anzitutto perché la costa inglese, abbastanza frastagliata e
non priva di buoni porti, è molto più lontana dalle basi navali donde possono
muovere le flottiglie nemiche, e poi perché la situazione delle nostre coste
adriatiche è complicata e aggravata dal fatto che la linea ferroviaria da
Ravenna a Brindisi segue la spiaggia, internandosi solo per poche miglia in tre
punti. Poiché tale ferrovia, che è fra le principali del nodo ferroviario
italiano, è diventata con la guerra principalissima per le comunicazioni rapide
dell’Inghilterra e della Francia con l’Oriente Mediterraneo, il canale di sfogo
diretto attraverso cui passa non poca parte degli uomini e dei materiali
destinati all’Albania, a Salonicco e all’Egitto, era logico che gli austriaci
tentassero di tagliare quelle comunicazioni e d’interrompere quel traffico
lungo una linea completamente esposta ai loro colpi di mano, mirando a
distruggerne i ponti: questo almeno l’obbiettivo bellico dei vari “raids”, che
non fu mai raggiunto, mentre assai spesso furono raggiunti altri obiettivi,
come la rovina delle chiese e l’uccisione di donne e bambini…
Alla prima alba
di guerra Ancona è bombardata da due grossi incrociatori austriaci e da
squadriglie leggere, che prendono il largo all’apparire di un nostro dirigibile
e di un nostro sommergibile; due incrociatori minori, e due caccia aprono il
fuoco contro Porto Corsini e un altro incrociatore spara alcuni colpi su Rimini
e i vicini ponti arrecandovi pochi danni materiali, mentre anche Senigallia e
Barletta ricevono il loro battesimo da navi avversarie. Poi Pesaro e ancora
Rimini (18 giugno 1915), Monopoli (19 giugno 1915), Ortona, Pedaso, Termoli, Le
Tremiti (23 luglio 1915), Fano (27 luglio 1915), Bari, Santo Spirito, Molfetta
(11 agosto 1915), e tanti altri centri popolosi e tratti di ferrovia, dove mai
nessuna batteria era stata piazzata a difesa e nessun agguato di navi nostre
era possibile, furono contemporaneamente o successivamente provate dal fuoco
dei cannoni austriaci.
Ma la secolare
barbarie del nemico, esercitandosi, a dispetto di ogni buona legge di guerra,
contro spiagge aperte per sventare ospedali e monumenti e seminare la strage
fra popolazioni inermi, quasi a mostrare come l’Austria sapesse esser degna
della maggiore alleata violatrice del Belgio, non poteva avere la virtù della
sfida propiziatrice d’una battaglia in grande stile, di un combattimento a viso
aperto ed i suoi esploratori e le sue squadriglie di siluranti prendevano
caccia ogni qualvolta avvistavano i fiumi di navi italiane lanciate
all’inseguimento.
Da Brindisi a
Venezia corrono ben quattrocento miglia di spiaggia aperta: per sorprendere i
piccoli reparti nemici in qualunque punto di questo litorale prima che fuggano,
un numero addirittura enorme di unità leggere – quale neppure la marina inglese
può provvedere – dovrebbe tenere il mare continuamente su rotte obbligate e i
fuochi perennemente accesi e le macchine sempre ardenti cagionerebbero un
logorio così rapido degli apparati motori che, se noi avessimo impiegato in tal
guisa per due anni di guerra il nostro naviglio sottile, oggi non avremmo più
una sola silurante buona a navigare.
Il naviglio
austriaco invece, avendo per le proprie azioni la scelta del momento e del
luogo e tutto il tempo per organizzarle, resta mesi interi tranquillamente
chiuso e riparato nelle proprie potentissime basi, a fuochi spenti e a macchine
smontate, perché ne sia ben curata la manutenzione. Esso non è avvinto da altre
cure, non ha traffico marittimo da proteggere, non un reale obbiettivo da
raggiungere, laddove le nostre operosissime squadriglie battono il mare di
continuo per i servizi d’esplorazione sull’altra sponda e per il trasporto e il
rifornimento truppe d’oltremare. In tali condizioni nessuna flotta, per quanto
numerosa e potente, potrebbe impedire le incursioni del nemico sopra una costa
qual è la nostra adriatica, come di fatto non riesce a impedirle sulla costa
orientale dell’Inghilterra la più formidabile flotta del mondo: quella
britannica. Occorreva perciò che la protezione del nostro litorale fosse
affidata non più alle navi ma a tutto un sistema di difese fisse o mobili, sul
litorale stesso, per cui l’efficienza del nostro naviglio da guerra non dovesse
più oltre soffrire i danni inevitabili di quel penoso lavoro di sorveglianza
costiera, che nei primi mesi di guerra, parve davvero sovrumano, e d’altro
canto fosse assicurata l’immunità con la maggiore economia di bocche da fuoco.
Fortificare
tutta la costa da Brindisi a Ravenna fu giudicato impossibile, non solamente
perché simile impresa sarebbe costata somme favolose, sibbene ancora perché
avrebbe richiesto un tempo molto lungo e un grandissimo numero di quei cannoni
navali di cui s’era venuta palesando l’assoluta necessità su fronte del basso
Isonzo e che tanti e preziosi servigi resero infatti all’ala destra dell’esercito
operante in quel settore.
Per
l’installazione dei nuovissimi treni il nostro Comando Navale concepì un vasto
disegno e la rapidità e la perfezione tecnica con cui la marina Italiana seppe approntarli,
superando ostilità burocratiche e difficoltà stimate insormontabili – per
esempio, far manovrare questi treni sopra l’unico binario esistente da Ancona
in giù senza intralciare o danneggiare in alcun modo il traffico ordinario –
costituisce senza dubbio una delle nostre più brillanti vittorie. Noi riuscimmo
a sfruttare con la più geniale prontezza una nostra condizione d’inferiorità e
le rotaie già troppo esposte alle offese del nemico divennero presto rotaie di
fortezze rapidissimamente spostabili, poiché l’assenza di dislivelli in quel
litorale consente appunto di fare accorrere al minimo segnale d’avvistamento
del nemico, nei luoghi minacciati da bombardamenti o da tentativi di sbarco,
dei cannoni superiori per numero e potenza a quelli che squadriglie avversarie
di siluranti, con relativa scorta di sommergibili e velivoli, possano a loro
volta concentrarvi.
Il vantaggio
forse più immediato fra i tanti conseguiti dalla creazione dei treni armati, fu
la possibilità di liberare degli esasperanti servizi di vigilanza costiera, per
più attive missioni di guerra, gli esploratori e il naviglio leggero che fino
allora aveva costituito tutto una difesa puramente mobile del nostro litorale
adriatico con crociere logoratrici, nelle quali ogni più ferrea volontà ed ogni
più tenace ardimento si sarebbero fiaccati se equipaggi e comandanti non
avessero avuto tempre d’acciaio. Né a questa difesa era possibile rinunciare
mentre gravi e incombenti erano le scorte dei convogli di rifornimento e
costanti le crociere diurne e notturne per chiudere il canale d’Otranto al
contrabbando, ostinatamente tentato da navi neutrali cariche di nafta e di
granaglie. Ci furono siluranti che tennero il mare per giorni e notti di
seguito come per un lungo viaggio ed erano lì a poche miglia dagli scali,
cambiando sempre di mestiere, dalla caccia ai sommergibili alla vigilanza delle
mine vaganti che i venti strappano al cavo onde son vincolati in fondo al mare
e le correnti sbandano verso le nostre rive, dalla guardia delle coste alla
ricerca delle navi contrabbandiere…
Oggi no solo
tutta la ferrovia Ravenna-Brindisi si protegge da sé, ma i nostri treni armati
che al rilevante armamento di cannoni navali e antiaerei accoppiano una
mobilità estrema possono giungere ad aspettare il nemico là do’esso si dirige,
appoggiandosi all’ottima rete semaforica, telegrafica e telefonica impiantata
lungo tutto il litorale ed a molteplici basi di agguato in prossimità dei punti
più esposti. Così mentre siluranti e velivoli austriaci furono più volte
bersagliati di sorpresa dal fuoco intenso dei nostri treni, i sommergibili
nemici rimasero invano in attesa delle siluranti italiane che, accorrendo a
protezione dei luoghi attaccati, avrebbero dovuto esser loro facile preda.
L’organizzazione
e il servizio dei treni armati dell’Adriatico, esclusivamente affidati ad
ufficiali di vascello e marinai, è una meraviglia di ordine, di precisione, di
prontezza. La vita di bordo s’è ritrovata in quelle fortezze mobili con le sue
forme più caratteristiche e più simpatiche, il treno è diventato la nave e
tutto vi è stato regolato dall’orario e dal costume di bordo: guardia, esercizi
scuola, pasti, riposi.
Mai nulla di
simile s’era creato nel mondo e i nostri marinai seppero per la novissima gesta
improvvisarsi ferroviari e manovali, costruttori e soldati, come nelle paludi
dell’isola Morosini e sulle pendici del San Michele i loro compagni superstiti
dell’Amalfi s’erano improvvisati combattenti di trincea temprati ad ogni
eroismo.
L’intera strada
ferrata esposta è divisa in otto tronchi, per una lunghezza di una cinquantina
di chilometri ciascuno, e ogni tronco ha il suo treno. Una linea telefonica
distesa lungo il litorale passa attraverso numerose stazioni semaforiche dove
stanno gli uomini di guardia e speciali telefoni, attaccati ai fili telegrafici
dappertutto, sono sempre pronti all’uso.
I movimenti di
tutte le navi in Adriatico sono così segnalati al Comandante dei treni, il
quale dispone il servizio viaggiando lungo la linea o nei treni ordinari o su
vetture automobili.
Di giorno i
guardiani possono segnalare navi nemiche a venti chilometri di distanza e
l’allarme, dato al Comandante, è subito trasmesso con gli ordini alle vicine
stazioni, le quali sono così numerose sulla costa che bastano otto minuti
perché sia sgombra la linea. Il treno armato più prossimo accorre sul luogo
dell’attacco ed apre il fuoco fermandosi possibilmente al coperto di quelle
collinette verdi, vere e proprie trincee, erette tra la ferrovia e il mare,
onde rimanere invisibile alle navi assalitrice. Di notte la sorveglianza è più
dura ma il caso di attacchi notturni contro la costa è ben raro perché le
tenebre impediscono di discernere la direzione del fuoco. L’ora propizia è
l’alba, allorchè le condizioni della luce favoriscono il nemico che viene da
oriente. Le siluranti aprono il fuoco al primo chiarore, scegliendo di solito
punti lontani dalle città e apparentemente difesi per cercar di colpire i treni
ordinari eludendo la vigilanza delle vedette. Ma per questo ogni mattina,
un’ora prima dell’alba, tutto il traffico lungo la ferrovia dell’Adriatico
rimane sospeso. Così la linea è libera e il treno armato più vicino può
arrivare sul posto in meno di venti minuti dopo che il nemico abbia aperto il
fuoco.
E gli equipaggi
vivono sulla strada ferrata in altri vagoni, che son come la retrovia dei treni
armati, dove ogni cosa ha pure ritrovato il suo posto come a bordo: uffici,
alloggi, cucine, infermeria, depositi d’armi, sale di lettura.
L’efficacia dei
treni armati fu riconosciuta subito dopo la loro istituzione. Le prime salve,
furono aggiustate sull’incrociatore austriaco S. Georg che il 3 febbraio 1916,
con tre cacciatorpediniere e due torpediniere, aprì il fuoco contro le stazioni
di Ortona e di San Vito Lanciano danneggiandovi dei vagoni-merci. Raggiunte dai
colpi di un nostro treno, le navi nemiche furono costrette ad allontanarsi a
tutta forza. Durante un raid tentato da una squadriglia d’idrovolanti nemici su
Ancona, il 3 aprile, i cannoni di un treno antiaereo, abbatterono tre dei
cinque apparecchi attaccanti: un record dell’artiglieria antiaerea! Il 23
giugno due siluranti austriache si presentarono al largo di Grottammare; dato
l’allarme, un treno partì immediatamente da Pedaso e raggiunse il nemico che
bombardava un treno viaggiatori, presso San Benedetto del Tronto. Ai primi
colpi le siluranti volsero le prore.
Ma lo scontro
più tipico s’ebbe il 5 novembre. Poco prima dell’alba tre caccia austriaci del
tipo “Tatra” (800 tonnellate e 22 miglia di velocità) furono avvistati nelle
tenebre, dalle vedette, al largo di Pedaso. Il traffico, come di solito a
quell’ora, era sospeso su tutta la linea. I caccia procedevano cauti, lungo la
costa, con rotta verso il nord, ma un treno proveniente dal nord non li vide e
passò oltre. A Pedaso ebbe notizia dell’allarme e tornò indietro a tutto
vapore. Incontrò le siluranti a Sant’Elpidio, mentre bombardavano una fabbrica
di prodotti chimici, e, protetto dalla trincea, aprì il fuoco. I nemici,
incapaci d’individuare il treno, presero il largo, ma appena lasciata la costa,
due dei caccia furono ripetutamente colpiti ed uno, sbandato per un colpo in
pieno sulla poppa, fu visto preso a rimorchio e aiutato dagli altri nella fuga.
Da quel giorno
nessun attacco fu più tentato da navi austriache contro la costa italiana, ma
quelle nostre popolazioni, che hanno già sopportato con civile eroismo i danni
della barbarie nemica, hanno anche imparato a guardare i treni armati con
ammirazione riconoscente e la divisa delle navi, anch’essi portano incisa nel
loro acciaio a lettere cubitali “Per la Patria e per il Re”, accomuna oggi
nella più nobile disciplina di guerra i cittadini ei difensori della nostra
sponda adriatica per la vittoria di domani». Paolo
Giordani
Bibliografia e
sitografia
Rivista Tecnica
delle Ferrovie Italiane. Anno I Vol. II
– N.1, luglio 1912.
Paolo Giordani, “I Treni Armati dell’Adriatico”, La Lettura, rivista mensile del
Corriere della Sera. Anno XVII n.8 1° agosto 1917.
Pietro Lanino, “Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra Italiana 1915-1918”.
Supplemento al fascicolo di Ottobre (n.4) 1928 – VI della Rivista Tecnica delle
Ferrovie Italiane.
Giulio Benussi, “Treni armati – Treni ospedale 1915-1945”, E. Albertelli editore 1983.
F. Fattuta, “I treni armati”,
Supplemento rivista marittima novembre 2002.
G. Manzari, “Difesa costiera e treni
armati”. Bollettino d’archivio USMM dicembre, 2008.
Giuseppe Longo 2016, “Gennaio 1916: entravano in azione i treni armati della
Regia Marina”, Cefalunews, 26 gennaio.
Foto di copertina: Treno armato in partenza dalla stazione di appostamento, si nota in coda la seconda locomotiva, mentre i pezzi sono in posizione di riposo. Fonte USMM, per gentile concessione di Virginio Trucco.
Foto 2: Treno armato con pezzi da 152 in posizione di fuoco. In primo piano si nota il carro comando e osservatorio seguito dal carro con i pezzi da 76 e i cannoni da 152 probabilmente si tratta di una sezione staccata per un esercitazione, in quanto non si vedono i carri santa Barbara e la locomotiva in coda. Foto per gentile concessione di Virginio Trucco.
Foto 3: Treno armato da 76 per la difesa antiaerea di Ancona, i carri sono distanziati al fine di offrire un minore bersaglio agli aerei nemici e ridurre i danni in caso di essere colpiti. Fonte USMM, per gentile concessione di Virginio Trucco.
Foto 4: Parte di equipaggio di treno armato durante la consumazione del pasto. Sicuramente trattasi dei serventi dei due pezzi da 76 alle loro spalle. Quasi sicuramente trattasi del treno armato per la difesa antiaerea di Ancona, infatti il carro è staccato dal convoglio ed in sosta in un binario di scalo merci. Fonte USMM, per gentile concessione di Virginio Trucco.
Giuseppe Longo
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