Cefalunews, 5 ottobre 2015
Lo scorso 18 settembre, nella Sala liberty “Il Treno”
della nota Fondazione Culturale milanese “Cesare Pozzo” si è svolta la
Conferenza del Colonnello Mario Pietrangeli e dell’Ingegner Michele Antonilli,
dal titolo: “Il ruolo delle Ferrovie dello Stato nella Prima Guerra
Mondiale”. Diamo qui seguito una breve sintesi della Conferenza.
«L’avvento delle ferrovie segnò una grande svolta
nella storia dell’umanità; aprì l’era della meccanizzazione nei trasporti
terrestri, avvicinò tra loro i popoli e contribuì a sviluppare traffici,
attività industriali e commerciali nelle regioni attraversate. L’enorme
importanza del trasporto di personale e materiali offerto dal nuovo sistema fu
compreso ben presto dai governanti per uno sfruttamento anche ai fini militari.
Un primo significativo esempio si ebbe durante la guerra di Crimea (1855) ove
fu realizzata una linea ferroviaria per collegare il porto di Balaklava con
Kamara per opera di unità del corpo zappatori del Regio Esercito
Sardo-Piemontese. Altra occasione che permise di dimostrare l’importanza
strategica della ferrovia fu la guerra di secessione americana. Le ferrovie si
erano espanse in modo imperioso su tutto il territorio americano sia a nord che
a sud, il che favorì ulteriormente lo sviluppo dei trasporti militari.
All’inizio della guerra civile vi erano in servizio 50.000 chilometri di rete
ferroviaria. Tutte le grandi battaglie di questa guerra si svilupparono in
particolare attorno alla rete ferroviaria: le parti opposte compresero subito
l’importanza delle linee ferrate e cercarono, con tutti i mezzi, di proteggerle
o di impadronirsene. Per la prima volta, l’idea della distruzione di una
ferrovia, quale importante via di “comunicazione militare”, s’impose come
importante elemento della tattica militare. Furono i sudisti per primi a
sfruttare le azioni di sabotaggio delle linee a scopo militare contro i
manufatti in legno e le istallazioni ferroviarie complete (come a Martinsburg
1861 e Fredericksburg 1862). Nel gennaio 1862 una legge pose tutto il materiale
rotabile ed il “personale ferroviario nordista” sotto l’autorità militare; ciò
permise di regolamentare l’uso del materiale rotabile e del personale civile.
La distruzione delle linee ferroviarie assunse proporzioni tali da costringere
lo Stato Maggiore nordista a formare un’unità speciale incaricata di
ricostruire le opere distrutte.
Doveva
essere una dimostrazione senza precedenti dell’importanza della ferrovia per i
trasporti militari e per tutta la logistica: 100.000 soldati e 35.000 cavalli
avrebbero dovuto essere trasportati lungo 760 chilometri, da Lousville ad
Atlanta. La linea fu, per ben 196 giorni, periodicamente sabotata dai
Confederati e subito riparata dal Corpo di costruzione federale. Shermann
perse, nei continui attacchi, 17.000 uomini e giornalmente 600 t. di materiale
di prima necessità. Calcolò peraltro, che se non fosse stato in grado di
utilizzare la ferrovia, gli sarebbero occorsi 36.800 carri trainati ciascuno da
6 muli per trasportare i rifornimenti per i suoi uomini, in considerazione del
fatto che aveva già riunito approvvigionamenti per 600.000 uomini. Shermann
commentò questa esperienza così: “Nessun esercito dipendente da vagoni può
operare a più di 100 miglia dalla sua base, perché i continui attacchi a cui
sono sottoposti i treni rendono inutilizzabile il contenuto dei vagoni”.
Infatti, durante la guerra di secessione vide la sua nascita anche il treno
blindato. In Europa questo conflitto venne seguito con assiduo interesse; gli
Stati Maggiori delle potenze del vecchio continente presero rapidamente
coscienza dell’importanza strategica dei trasporti su ferrovia. Gli insegnamenti
furono impiegati già cinque anni dopo nel corso della guerra franco-prussiana.
Anche durante la guerra dei boeri in Sudafrica (1899-1902) i treni ebbero un
ruolo importante. Gli inglesi pattugliavano le campagne sui treni blindati, che
in tal modo proteggevano gli isolati avamposti britannici, ma c’era sempre il
pericolo che qualche commando boero, facesse deragliare i convogli, mediante il
brillamento di esplosivo posto sui binari. Nello stesso secolo, quando la
locomotiva Bayard percorreva sbuffando nell’ottobre 1839 gli 8 Km. della Napoli
– Portici alla folle velocità di circa 50 km all’ora, il Regno delle Due
Sicilie metteva in cantiere altre iniziative, forse meno oleografiche e
romantiche non meno importanti.
Lo
Stato, infatti, costruiva direttamente e manteneva in esercizio a proprie spese
alcune linee da Napoli, via Acerra, per Cancello e Capua, e da Cancello per
Nola e Sarno, per un totale di circa 72 Km. La Regia strada ferrata, l’insieme
di questi tronchi ferroviari, ispirata da motivi strategici, aveva lo scopo di
collegare a Napoli sia la villa reale di Caserta, sia le due piazzeforti di
Capua e Nola, dalle quali le regie truppe potevano affluire celermente sulla
capitale in caso di necessità. Realizzazione ed esercizio venivano affidati all’esercito,
che provvedeva altresì alla costruzione ed alla manutenzione delle carrozze ed
alla manutenzione delle locomotive nell’arsenale Regio di Pietrarsa. Al nord
non si era di meno. I piemontesi avevano impiegato, come precedentemente detto,
per la prima volta nel 1855 unità del Genio Zappatori in lavori di armamento
ferroviario sulla linea per Kamara in Crimea. Quando poi nel 1859 vennero usate
le ferrovie nelle operazioni di radunata dell’Esercito franco – piemontese, il
cerchio si chiudeva: Costruzione, Condotta, Utilizzazione. Questi primi esempi
ci consentono di fare un’immediata distinzione tra due diversi tipi di treni
per impiego militare: quello blindato e quello armato. Il primo, detto anche
corazzato, era composto da locomotive e vagoni opportunamente protetti, per
esempio da piastre d’acciaio, in maniera da offrire una schermatura agli uomini
imbarcati, fossero essi serventi dei pezzi d’artiglieria o fucilieri, oppure
gli stessi ferrovieri addetti alla conduzione del convoglio. Il secondo prevedeva
invece l’installazione su vagoni pianali, a volte di normale impiego a volte
specificatamente realizzati, di pezzi d’artiglieria di vario calibro, molto
spesso di origine navale. La protezione in questo caso risultava limitata o
inesistente e ciò sia per il personale sia per il materiale rotabile.
Si
tratta di una distinzione molto semplificata, che non vuole e non può, in
questa sede, tenere conto di eccezioni e particolarità, le quali richiedendo
un’analisi più approfondita, renderebbero il discorso molto più complesso. Si
può soltanto aggiungere che i convogli del primo tipo sono stati impiegati in
quasi tutti i principali conflitti a partire dalla metà del XIX secolo, nel
corso dei quali furono chiamati a svolgere molteplici compiti che andavano
dalla perlustrazione e attacco sul territorio nemico, ad azioni di copertura in
retroguardia durante ripiegamenti o ritirate, dalla protezione di importanti
linee ferroviarie alla difesa da incursioni portate da convogli avversari di
tipo similare, senza dimenticare la scorta a tradotte o convogli di
rifornimento, oppure l’occupazione di importanti nodi ferroviari. Per quanto
riguarda invece il secondo tipo di convogli, a seconda del calibro delle
artiglierie imbarcate, i compiti potevano variare dall’appoggio di fuoco
effettuato anche da grande distanza, alla difesa delle coste da improvvisi
attacchi navali, alla difesa contraerea mobile. E saranno proprio questi ultimi
due a caratterizzare l’impiego dei treni armati della Regia Marina nel primo
conflitto mondiale. Ritornando invece alle vicende storiche e all’impiego dei
treni, soprattutto blindati, questi ultimi furono impiegati ancora dagli
Austriaci contro i Prussiani nel 1866, dai Francesi per la difesa di Parigi,
nel 1870-‘71, dagli Inglesi durante la guerra anglo-egiziana del 1882 e ancora
da questi ultimi nel corso della durissima campagna contro i Boeri (1899-1902).
Non si può infine dimenticare il vasto impiego di treni armati durante la
rivoluzione messicana del 1911, come pure il frequente uso del mezzo
ferroviario blindato effettuato dai tedeschi nelle colonie africane agli inizi
del XX secolo, per sedare la rivolta di tribù locali. Il primo conflitto
mondiale rappresentò un notevole salto di qualità per questo tipo di arma. Per
quanto concerne il ruolo dei ferrovieri militarizzati c’è da dire che fu
essenziale, tanto da far denominare I ferrovieri italiani la “Sesta Armata”
combattente.
Con la
conquista di Trieste e Trento, compresa Bolzano, i precedenti transiti
internazionali di Ala e Primolano in Trentino, di Cervignano, Cormons e Pontebba
in Friuli, lasciarono il posto al Brennero, San Candido, a Tarvisio, a
Piedicolle oltre Gorizia, nonché Venezia Giulia a Postumia e Fiume. Alla rete
nazionale si aggiunsero circa 1.000 Km di ferrovie dei nuovi territori
conquistati. Concluse, idealmente, la Prima Guerra Mondiale il trasporto della
salma di un “milite ignoto” da Acquileia a Roma, avvenuto in treno nell’ottobre
1921. La mattina del 29 ottobre 1921 il treno che trasportava il “milite
ignoto” parti da Aquileia alla volta di Roma condotto da ferrovieri decorati al
valore. Il convoglio fece sosta in tutte le principali stazioni, in modo da
consentire alla popolazione di rendere omaggio alla salma. La capitale fu
raggiunta il 2 novembre con l’arrivo del carro alla stazione di Roma Termini.
La salma tumulata sull’Altare della Patria il 4 novembre, alla presenza del Re,
delle rappresentanze dell’esercito e delle madri vedove dei caduti. Per quanto
riguarda il ruolo delle ferrovie c’è da evidenziare che, alla vigilia della
Prima Guerra Mondiale, la dotazione di locomotive era quasi raddoppiata
rispetto a dieci anni prima e soprattutto era profondamente rinnovata nei tipi,
di cui molti ben riusciti e costruiti interamente in Italia. La dotazione di
materiale trainato era salita a 10.015 carrozze, 3.845 bagagliai 102.829 carri
merce di vario tipo. La rete ferroviaria principale, anche se cresciuta di
circa 1.700 Km, era invece rimasta la stessa del 1906 e la parte peninsulare
dell’Italia, da cui sarebbe provenuto il maggior contingente di uomini e approvvigionamenti,
era tuttora caratterizzata da quella ripartizione longitudinale tra Rete
Adriatica e Rete Mediterranea, teorizzata dal Zanardelli nel 1877 e diventata
poi effettiva con la citata legge del 1885. Questo faceva si che il centro
meridione fosse direttamente collegato alla bassa Valle Padana dalla
lunghissima litoranea ionica – adriatica, a semplice binario, con sbocco su
Bologna e Ferrara, e da qui verso Padova, attraverso la strozzatura del ponte
sul Po a Pontelagoscuro. Da Bologna si poteva raggiungere anche Verona via
Modena.
Questo stato di
fatto significava che sarebbe stato estremamente difficile poter concentrare
rapidamente truppe sui confini orientali, prelevandone grossi contingenti dalle
Calabrie, Puglia e Isole. E non potendolo fare rapidamente, lo si fece
lentamente e in maniera occulta, cominciando, dai primi di febbraio 1915, a
radunare nel Veneto poco meno di 400.000 uomini con le loro dotazioni, mediante
7.720 treni. Con lo scoppio delle ostilità le F.S. affiancarono al loro ruolo
principale e potremmo dire istituzionale, di trasporto tattico, quelli,
secondari ma non meno importanti, di supporto mobile di artiglieria e di
ospedali da campo. Vedremo nel seguito le dimensioni e l’importanza di questi
ruoli. In aggiunta, analogamente a quanto fatto dalla maggior parte
dell’industria ferroviaria italiana, che si era convertita interamente alla
produzione di armamenti (Ansaldo, produsse circa 10.000 bocche da fuoco di
vario calibro, Westinghouse e Ferrotaie produssero proiettili ecc.), così anche
la struttura produttiva delle F.S. convertì parte della sua capacità alla
produzione bellica. Nelle Officine di Verona, Rimini, Firenze, Napoli e Torino,
con tre turni di lavoro giornaliero, si produssero proiettili d’artiglieria,
affusti per cannoni e carriaggi, piattaforme per cannoni e adattamenti posamine
per navi traghetto. Le stesse navi traghetto delle F.S. furono convertite, in
buona parte, in navi posamine o incrociatori ausiliari e tre di esse andarono
perse in azioni di guerra. Per quanto riguarda il materiale rotabile, tutto
quello che poteva essere utilizzato, fu recuperato, anche se di concezione
antiquata. In molti casi esso dovette essere completamente revisionato. E pur
così, il punto debole del trasporto risultò la limitatezza del parco veicoli e,
in particolare, del materiale di trazione. Questa limitatezza fu aggravata dal
fatto che, per una serie di cause concomitanti quali la scarsità di manodopera
a causa della mobilitazione, la difficoltà di approvvigionamento dei materiali
e la già ricordata necessità di provvedere prioritariamente all’industria
bellica, le forniture del materiale rotabile già commissionato subirono forti
ritardi e divenne difficile commissionarne di nuove. Si dovette ricorrere
all’industria USA per la fornitura di nuove locomotive, le cui prime 93 (7
erano andate perdute nel siluramento del piroscafo che le trasportava),
arrivarono in Italia solo nel 1917, andando a costituire quel Gruppo 735 che,
con 393 unità, fu uno dei cavalli di battaglia della trazione a vapore per
servizi merci.
Ciononostante,
ritornando al ruolo principale delle ferrovie, l’attività di trasporto fu
intensa e costante e ci si rese presto conto che si doveva provvedere in tutta
fretta all’esecuzione di quei lavori richiesti dallo Stato Maggiore del Regio
Esercito per rendere la rete idonea a sopportare l’enorme mole del traffico
militare. Per esempio, in occasione dell’offensiva sugli Altipiani (12 maggio
1916) si ebbe un imbottigliamento di treni sulle linee Verona – Vicenza – Schio
e Padova – Vicenza, con ritardi di oltre 10 ore nell’inoltro dei convogli. .
Furono fatti particolari sforzi anche in occasione del movimento che preluse
alla presa della testa di ponte di Gorizia (18 agosto 1916) e dell’offensiva
della Bainsizza e sull’Isonzo (1917). I giorni di Caporetto furono oggetto di
un’attività frenetica per tentare di salvare il salvabile e i lavori di
potenziamento delle linee intorno ai nodi di Vicenza, Treviso e Padova,
approvati dal Comitato Supremo ed eseguiti tempestivamente, si rivelarono
provvidenziali. Come sempre, le cifre possono rendere l’idea dello sforzo più
sinteticamente di ogni parola. Nei giorni tra il 25 ottobre e il 15 novembre
1917, sulle sole linee del Veneto furono trasportati circa un milione di
persone e 50.000 carri carichi. La sola stazione di Treviso, che abbiamo visto
essere un nodo importante nella rete ferroviaria del nord-est, vide un transito
giornaliero di circa 60.000 persone. Per arginare l’offensiva nemica, furono
mandati a sostegno delle truppe italiane anche truppe e materiale francesi e
inglesi, e questo comportò un ulteriore trasporto intensissimo, con treni che
si susseguivano uno all’altro, lungo la litoranea ligure, anch’essa a singolo
binario. Cominciò poi, con la resistenza sul Piave, la fase di maggior sforzo,
in cui i numeri diventano impressionanti. Durante l’offensiva austriaca
dall’Astico al mare (28 maggio – 15 luglio 1918), nei soli giorni tra il 16 e
26 giugno, furono trasportati 240.000 uomini, 27.000 quadrupedi, 6.000
carriaggi e cannoni, oltre al servizio dei treni ospedale. Durante la
preparazione per l’offensiva di Vittorio Veneto, in poco meno di un mese furono
spostati altri 320.000 uomini e 42.000 quadrupedi e 8.500 carriaggi e cannoni,
oltre ai materiali vari. Per il supporto di munizionamento furono utilizzati
una media di 400 carri al giorno, con punte di 600.
Infine,
durante la battaglia finale vera e propria (25 ottobre – 4 novembre) furono
trasportati 140.000 uomini, 8.000 quadrupedi. e 1.600 cannoni e carriaggi. Il
trasporto di munizioni segnò, in quei giorni, una media superiore ai 600 carri
la giorno. In contemporanea, il movimento dei treni ospedale e sanitari ebbe
una media di 17 treni al giorno, con una punta di 37 il 31 ottobre. A margine
della funzione di trasporto tattico vale la pena di registrare la fondamentale
attività, per il funzionamento del Paese e delle stesse ferrovie,
dell’approvvigionamento del carbone. Prima della guerra, il carbone fossile
proveniva sia dall’Inghilterra sia, in larga parte, dalla Germania, tant’è che
allo scoppio delle ostilità, furono immediatamente requisiti dalle autorità
italiane più di 4.000 carri delle ferrovie tedesche e prussiane, quasi tutti a
sponde alte, che si trovavano in Italia per tale trasporto. Questi carri furono
immatricolati nel parco delle F.S. e distinti dagli altri premettendo la cifra
0 alla marcatura di sei cifre che normalmente identificava ogni carro italiano
(a solo titolo di curiosità, i carri acquisiti successivamente, quali bottino o
in conto riparazione danni di guerra, furono contraddistinti premettendo la
cifra 7). Mancando per ovvi motivi il carbone tedesco ed essendo reso difficile
dalle operazioni belliche l’approvvigionamento in Inghilterra, si ricorse
dapprima al carbone americano (1915-16) e, successivamente, per le difficoltà
sopravvenute anche nelle attività portuali, a quello francese (1917-18). In
questo frangente, i carri requisiti, oltre a quelli già di proprietà F.S.,
servirono a creare convogli che si spingevano quotidianamente in Francia, ad un
centinaio di chilometri oltre Ventimiglia, per andare ad effettuare il
rifornimento di carbone. E così, ad aggravare la già cronica scarsità di
locomotive di una certa potenza, le F.S., per la trazione dei treni di carbone,
dovettero noleggiare alla compagnia francese Paris – Lyon – Méditerranée (PLM)
ben 110 locomotive dei relativamente recenti Gruppi 730 e 680, con motore a
doppia espansione, che furono assegnate al Deposito di Nizza assieme a
personale italiano. Infine, è solo il caso di accennare il fatto che, per le
esigenze dello Stato Maggiore del Regio Esercito e degli Alti Comandi di
Vertice, furono approntati uno o due treni utilizzando in parte materiale della
Compagnia dei Wagon – Lits (CIWL). Complessivamente, tra il 1915 e il 1918
furono effettuati circa 50.000 treni trasportando 15 milioni di uomini,
1.300.000 quadrupedi, 350.000 tra veicoli e cannoni, 1.820.000 tra feriti e ammalati,
22 milioni di tonnellate di viveri, foraggi, munizioni e materiali vari. Se si
pensa alla situazione delle linee descritte, alla loro potenzialità in tempi
normali, alla confusione generale creata dagli eventi bellici e alla stessa
necessità di manutenzione dei mezzi, appare quasi incredibile che il tutto si
sia svolto con un relativo ordine e in sicurezza, con un tributo, da parte dei
ferrovieri, di 1.196 caduti e 1.281 decorati al valore».
Si ringrazia per le indicazioni documentarie e
iconografiche il Colonnello Mario Pietrangeli, del Comando Militare Esercito
Lombardia
Foto di copertina: Direzione Armi e Armamenti Navali, Spezia, Carro armato di due cannoni da 76/40 A 1917.
Foto 2: Carro Poz con cannone da 76/40
Foto 3: Primo treno militare in partenza da Roma Termini per il fronte, da Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra (1915-1918).
Foto 4: Locomotiva a vapore Gr. 740 utilizzata per il trasporto da Aquilea a Roma della salma del Milite Ignoto, da Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra (1915-1918).
Michele Mario Elia, Luigi Cantamessa, Ernesto Petrucci. “Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra
(1915-1918)”. La Tecnica Professionale n. 10 – ottobre Roma, 2015.
Michele Antonilli, Mario Pietrangeli, “Il ruolo delle Ferrovie nella Prima Guerra Mondiale” Amarganta 2018.
Giuseppe Longo
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